Fermarsi e ripartire: al via il nuovo campionato di Promozione!

Quando fermarsi è necessario. Quando prendersi una pausa è salutare, per ripartire più forti. Da quando la Pallacanestro Olimpia è nata, nel lontano settembre del 1991, non ha mai avuto paura di guardarsi dentro, rallentare e ripartire da capo.

Era l’estate del 2006, quella dell’Italia Campione del Mondo e, tra una riunione e l’altra, venne presa una decisione sofferta ma inevitabile: riprendere in mano il progetto delle origini, che vedeva i giovani di Olbia protagonisti, insegnando basket a partire dai fondamentali. E così, mentre per l’ultimo anno proseguiva l’esperienza di C Nazionale, il gruppo storico biancorosso (i fratelli Sciretti, Gianfranco Udassi e Corrado Gambino, con l’aiuto di alcuni dirigenti) decise di intraprendere la sfida del campionato Regionale di Promozione.

Come a inizio anni Novanta, quando il gruppo del 1979/80  (con i vari Degortes, Martini, Mulas e Fiori) aveva cominciato l’avventura dei campionati Senior, così anche nei Duemila occorreva cominciare un nuovo ciclo che avesse come base un gruppo giovanile. Nel primo caso, da quel 1993 partì la scalata che portò alla promozione in C1; dal secondo ciclo, invece, sono nate splendide annate di C regionale, tanti giovani studenti che hanno imparato a diventare anche giocatori.

I protagonisti designati dal coach Mimmino, allora, furono quelli delle annate 1988/1989: una squadra di “bravi ragazzi” che già aveva avuto modo di confrontarsi con un basket di alto livello, grazie ai campionati di under18  e alla presenza fissa all’interno del roster di C1. Alcuni di loro hanno militato nella famiglia Olimpia sin dal minibasket; alcuni loro non hanno ancora smesso. C’era già Gianluca Sciretti, che amava tirare e segnare nei canestri del Deiana; c’era Lello Marras, pronto a conquistarsi un posto da titolare con la sua grinta; c’era Domenico Canu, playmaker “elettrico” di una squadra votata ai ritmi alti. Loro tre, insieme a Vitiello, avrebbero rappresentato lo “zoccolo duro” della prima squadra per altri 15 anni.

Diventare “grandi” significa anche misurarsi con squadre diverse, con ritmi e fisicità molto più variabili: tutto ciò che si impara nelle giovanili deve servire da base per un basket evoluto. Per accelerare il processo, serviva una guida, la classica “chioccia”: venne coinvolto un altro allievo del coach, Davide Lecis, così da coprire gli errori dei più inesperti grazie alla sua tecnica e fisicità. Il risultato? Ufficialmente, si giocava da “fuori classifica”, ma il campo aveva sentenziato: 100% di vittorie.

Dopo quell’intuizione, l’anno successivo arrivò la vittoria in serie D. Era nata una nuova storia, che vedeva protagonisti un nuovo gruppo di olbiesi appassionati di pallacanestro, felici di faticare in palestra (che fu quella di Via Nanni, come ora). Felici di passare il tempo insieme.

Una nuova storia, un nuovo ciclo

Sono passati 18 anni da quell’estate del 2006: i tempi erano così diversi che l’Italia di calcio, adesso, ai Mondiali neanche ci va più. La palestra in cui l’Olimpia si allena è ancora quella di Via Nanni, per fortuna. Molti dei nostri allievi non erano neanche prossimi alla nascita. Eppure, non abbiamo dimenticato la lezione di quei giorni.

Ripartiamo, allora. Per due anni abbiamo rinunciato a disputare campionati senior, perché le condizioni non lo permettevano e perché abbiamo preferito concentrare tutti i nostri sforzi sul settore giovanile. Anche in quel caso, non abbiamo avuto paura a fare un passo indietro, ricostruire un’identità dopo gli stop forzati della pandemia. E i risultati, con tre finali regionali disputate in tre anni, non sono di certo mancati.

Ripartiamo dal campionato di Promozione, anche se la Federazione Italiana Pallacanestro ha scelto di chiamarla Divisione Regionale 2, e noi proveremo ad adeguarci. E come allora, ripartiamo da una squadra di quasi maggiorenni, proprio come nell’estate di 18 anni fa. Di nuovo un gruppo di “bravi ragazzi” olbiesi, per cui lo stare insieme e i sani principi contano più del risultato di una partita; di nuovo un gruppo con una buona dose di talento, tecnica e voglia di correre più degli avversari. Un gruppo che non ha paura di mettersi in gioco e lavorare duramente per migliorare.

Visti i progressi delle ultime stagioni, tutti i membri dello staff tecnico hanno ritenuto che fosse arrivato il momento, anche per loro, di “fare il salto”, e provare a misurarsi con un livello superiore. Ogni volta che abbiamo scelto di affrontare questa sfida (nel 2011, nel 2014 e nel 2021), il campionato di Promozione è servito per far maturare i nostri giovani e farli diventare, per la prima volta, dei giocatori. E questo sarà l’obiettivo della nuova stagione: migliorare, divertendosi.

Oggi come allora, le colonne saranno Gianluca Sciretti e Lello Marras, questa volta nel ruolo di chioccia e non di giovani rampolli. Altri, che c’erano allora, avremo il piacere di incontrarli presto per strada.

Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, ma sappiamo che non sarà un percorso facile. Sarà sicuramente una bella sfida per tutti, allenatori, dirigenti, ragazzi e genitori. L’obiettivo sarà quello di conservare l’identità costruita in questi anni di giovanili e portarla avanti, facendola evolvere: d’altronde, “giocare in prima squadra” è stato sempre il desiderio dei tanti giovani adolescenti che si sono affacciati in palestra in questi anni.

Quella stagione 2006/07, frutto di un coraggioso passo indietro, fu un nuovo inizio della nostra piccola storia: da allora partì un nuovo ciclo che consente, ancora oggi, di portare tanti bambini e ragazzi a divertirsi in palestra, per imparare un po’ di pallacanestro e provare a diventare grandi.

Con l’augurio che il futuro sia ricco di soddisfazioni, come allora, siamo pronti per ricominciare: sabato 26 ottobre, ore 18.30, nella palestra di Via Nanni, la nostra “Promozione” comincerà il suo campionato contro Nova la Maddalena.

Finalmente ripartiamo. Vi aspettiamo in palestra!

1, 2, 3… Olimpia!

Quella volta che… l’Olimpia partecipò ai Giochi delle Isole

C’è stato un tempo in cui, grazie alla disponibilità delle palestre e alla grande passione dei suoi istruttori, l’Olimpia Olbia contava ben 14 squadre tra prima squadra e più piccoli.

C’è stato un tempo in cui, oltre ai maschietti, la nostra società riusciva a competere anche con il settore femminile: forse le alternative nel nostro territorio erano inferiori; forse il basket era visto con meno diffidenza di oggi; forse erano semplicemente gli anni Novanta, che poi così male non erano.

Tante volte, con nostro orgoglio, alcuni nostri atleti sono stati selezionati all’interno delle rappresentative regionali: è successo nell’anno in cui venivano selezionati ragazzi del 1978, quando, insieme a un totem del basket isolano come Michele Boero, ad allenare era stato chiamato il nostro Mimmino Sciretti; alla selezione del 1993 o del 1996, sotto la guida di Nicola Pintonello. Nel 2000, invece, il nuovo millennio portò una notizia inaspettata: due ragazze di quindici anni venivano convocate ai celebri Giochi delle Isole, manifestazione sportiva che quest’anno si svolgerà in Corsica. Una “piccola olimpiade” del Mediterraneo, in cui sono coinvolte moltissime discipline (atletica leggera, nuoto, sport di squadra), con tanto di cerimonie di chiusura e apertura.

La nostra Laura Udassi, guardia figlia d’arte, e Simonetta Lai, abituata a svettare con la sua altezza, erano le leader del gruppo allieve (1985), allenato da Lina Tuveri e Corrado Gambino: insieme con l’altra Laura (Lambroni) avrebbero composto un trio inossidabile nei tanti tornei 3vs3. Due coach che sapevano far coesistere sapienza tecnica e agonismo, senza mai dimenticare una buona dose di risate: se in gruppo competevano con le più grandi squadre femminili della Sardegna, la scelta delle due olbiesi fu senz’altro il fiore all’occhiello del loro lavoro.

A guidare quella spedizione, diretta verso Madeira, fu Stefania Bazzoni, altra enorme maestra della pallacanestro sarda. Le cronache parlano di allenamenti durissimi, giornate che potevano toccare anche le otto ore in palestra. E dire che i Giochi delle Isole sono da sempre una grande festa della gioventù, un’occasione unica di confronto tra coetanei sotto il sole delle nostre amate isole…

Per la cronaca, tra un’ora di sole e un “suicidio” in palestra, le ragazze della nostra rappresentativa vinsero il bronzo nella competizione: avevano vinto contro Martinica, Azzorre, Corfù e persino Sicilia, arrendendosi alle squadre delle Canarie e di Madeira. Ne conserviamo alcuni reperti fotografici, necessariamente poco nitidi come accade talvolta alle foto di un tempo.

Da quella esperienza uscirono due giovani ragazze più consapevoli delle loro qualità cestistiche, arricchite umanamente come ragazze e donne del nuovo millennio: ne nacquero contatti, legami, ricordi probabilmente indelebili.

Da quella chiamata a sorpresa si generò una nuova linfa per l’Olimpia, allora targata Marbo, che di lì a poco avrebbe vinto il campionato di serie D e avrebbe dato via ai suoi anni più vincenti. Era il coronamento di un progetto nato 9 anni prima, la spinta ad andare avanti su quella strada.

Riuscire a ottenere risultati attraverso il basket femminile, poi, resta un motivo di vanto difficile da dimenticare. Allora l’Olimpia contava almeno 3 gruppi di ragazze che, libere dai pregiudizi, crescevano in un gruppo andando a canestro.

Non tutte quelle ragazze hanno proseguito con questo sport: lo ha fatto la nostra Laura, che dopo aver giocato in serie B a Sassari oggi si dedica alla panchina. Tutte quante, di sicuro, ricordano i tempi di Via Vignola, del Liceo classico, del Fausto Noce. Quando fare pallacanestro non era visto come qualcosa di “strano” per una bambina. 

La speranza è che quei tempi possano tornare, e che si possano vedere di nuovo campionati femminili a Olbia. Per ora, il gruppo degli aquilotti registra una nutrita presenza femminile. Gli allenatori (Gambino e Udassi) c’erano anche nel 2000, anche se in ruoli diversi. Chissà che lo spirito di Madeira non sia ancora presente…

E d’altronde, i Giochi delle Isole si disputano ogni anno!

1,2,3… Olimpia! 

Divertimento, grinta, esempio: intervista al “capitano” Lello Marras

Negli ultimi 15 anni in molti, iniziando le giovanili, saranno stati presi in disparte da coach Sciretti. Qualche complimento, qualche rimprovero, e soprattutto un consiglio: per diventare un giocatore, occorreva guardare il comportamento in campo del capitano e cercare di prendere esempio. Antonio Marras, per tutti Lello, ha scelto la continuità: ha preferito restare a Olbia, dove porta avanti, col fratello, l’azienda di famiglia (Cri Service, azienda di trasferimenti con conducente); soprattutto, ha scelto la pallacanestro, l’Olimpia e il biancorosso come seconda casa. Qualcuno l’ha definito un “prototipo” della nostra piccola scuola: voglia di divertirsi, di combattere, andare oltre le difficoltà. Dove a volte non arrivano il talento e i centimetri, possono arrivare la grinta e l’intelligenza: e Lello, con lo spirito giusto, ha prima lottato per ritagliarsi un posto; è riuscito a diventare protagonista in campo e poi veterano. Due anni dopo un brutto infortunio, ha ripreso a seguire i giovani dell’under 17, per mostrare ai giovani come si diventa capitano. In queste giornate di carnevale, ha scelto di condividere i suoi pensieri con noi.

  1. Una vita dentro lo stesso campo, una vita con gli stessi colori: com’è iniziata la passione per la pallacanestro?

Quanto tempo… Abitavo vicino alla palestra di Via Vignola. Allora si diceva “vado all’Olimpia” per intendere il campo vicino alla scuola elementare. Il motivo della scelta? Forse seguivo una mia compagna di scuola, andavamo a piedi insieme.

Per un periodo lasciai la palla a spicchi per giocare a calcio: avevo persino comprato le scarpe come quelle di Zidane! Ma fu una parentesi di pochi mesi, presto preferii il chiuso di una palestra. Feci tutti i primi anni con Corrado Gambino, ma ricordo anche la durezza degli allenamenti di Lina Tuveri. 

  1. Come ti definiresti come giocatore?

Un gran rompiscatole. Da ragazzino io e Domenico Canu eravamo i più prolifici, ci dividevamo i punti. Poi hanno cambiato la regola dei passi con la virata e sono rimasto fregato! Ho smesso di segnare e mi sono dedicato alla difesa: i primi anni in prima squadra avevo sempre il compito di marcare i più forti. 

Per quello che sono diventato negli anni, poi, mi definirei un trascinatore: con i gradi di capitano e le lotte sotto canestro mi sono ritagliato il mio spazio.

  1. Quale periodo ricordi con maggior piacere? Partiamo con qualche indizio: le giovanili, gli anni da giovane con la C nazionale, i campionati di promozione al seguito dei più esperti; gli ultimi anni da veterano.

Difficile dirlo. Gli anni in cui cominciavo ad allenarmi con la prima squadra in C Nazionale sono stati sicuramente una scuola, tutti i giorni si aveva qualcosa da imparare.

Certo, le soddisfazioni più grandi sono arrivate quando vincevamo i campionati di promozione e Serie D, per poi arrivare a giocarci i playoff di C Regionale. Sotto la guida di giocatori esperti come Renato Rossi, Domenico Abeltino e Nicola Basanisi ci divertivamo, andavamo a fare le trasferte a Cagliari con squadre di ottimo livello; vincevamo tante partite, diventavamo grandi. Ascoltando Renato Rossi, soprattutto, imparavo tantissimi trucchetti. Una volta mi disse cosa fare per marcare un forte lungo avversario: «vedrai che non ci capirà più niente», mi diceva. Ebbe ragione.

  1. Negli ultimi anni, invece, i veterani eravate voi…

Il nostro momento più esaltante. I grandi esperti avevano preso altre strade, il compito di guidare i giovani esordienti spettava a me, Gianluca Sciretti e Domenico Canu. Senza alcuna pretesa, senza i favori del pronostico, arrivammo a vincere la semifinale di playoff con Sinnai, allora seconda forza del campionato di serie D. Una squadra di giovani olbiesi che non aveva paura di nulla. Noi “esperti” eravamo aiutati da Fabrizio Monaco e Pietro Navone; gli altri erano i giovani del gruppo 1999-2000, con il nostro Pietro Deledda che  a quel livello era devastante in tutta la Sardegna. Sì, a parte lui forse non c’erano fenomeni, ma insieme eravamo una bomba.

  1. Una vittoria in particolare?

A parte quella di Sinnai, sicuramente i derby vinti con la Santa Croce. Quello del 2013, forse la prima volta che succedeva a livello di prima squadra. Ma soprattutto quello del 2015. Senza due leader del quintetto base, vincemmo allo scadere con un dai e vai tra Ciro Rapuano e Antonio Piredda: un gruppo di ragazzini che riusciva a competere contro veterani che avevano alle spalle anni tra campionati i nazionali. Partite tese e all’insegna del rispetto, tanto pubblico: davvero delle belle soddisfazioni…

  1. Due anni fa un brutto infortunio al tendine d’achille: com’è stato affrontarlo?

Era il 29 marzo 2022. Ho i brividi ancora adesso se penso alla prima sensazione dolore, soprattutto dei primi secondi. In quei momenti passa il mondo davanti, pensi subito alla difficoltà di un eventuale recupero, alla famiglia, al lavoro. Anche perché non siamo professionisti e giochiamo solo per divertimento. Probabilmente fu l’usura, il fatto di aver trascurato involontariamente alcuni fastidi nei giorni precedenti: avevamo giocato solamente due giorni prima, era un recupero di martedì sera, nel campo di Padru. Forse era il sipario di una stagione maledetta, con enormi difficoltà nel trovare una palestra, allenarci e giocare.

  1. E ora come stai?

Sicuramente molto appesantito! Ho ripreso in mano la palla esattamente 553 giorni dopo l’infortunio: è stato davvero come ritornare a casa, una sensazione bellissima. Anche se nemmeno i medici erano totalmente d’accordo, mi è tornata subito la voglia di giocare e divertirmi. Per chi è abituato a fare sport, allenarsi aiuta soprattutto a liberare la testa.

  1. Cos’ha rappresentato per te, olbiese, giocare per l’Olimpia?

Essere parte di una famiglia, ormai con la sua storia. Il fatto che ne abbia fatto parte da capitano, per tantissimo tempo, è stato un onore ma anche un peso importante. A parte qualche protesta di troppo, sentivo il compito di essere sempre positivo, aiutare i miei compagni, dare un sorriso (e qualche strigliata) a tutti. Una bella responsabilità.  

  1. E la scuola Mimmino Sciretti?

Più che una scuola, l’esercito. Lo considero un grande maestro, ma soprattutto una grande persona. Certo ha un carattere molto rude, non tutti riescono a comprendere il suo metodo o sono disposti a farlo.

Ora sono grande e ascolto, ma fondamentalmente resto un testardo: in passato, dei suoi consigli (sì, anche delle urla) prendevo solo ciò che mi piaceva; del resto mi arrabbiavo. Ma so che faceva tutto parte del mio processo di crescita come giocatore e come uomo. 

Soprattutto nel momento dell’infortunio, è stato straordinario: mi ha aiutato, assistito persino nelle piccole cose, supportato come uno di famiglia. Gli sono davvero grato.

  1. Ora hai iniziato il percorso da allenatore, al seguito dei giovani under17. Come vedi il gruppo 2007-2008? Che insegnamento vorresti che prendessero?

Ragazzi appassionati ed educatissimi: non capita da tutte le parti di proporre un allenamento facoltativo e vedere l’intero gruppo presente. Presi singolarmente, hanno sicuramente più talento offensivo di me, ma sono ancora poco smalizati. Io e Gianluca siamo lì per dare un consiglio e aiutarli: devono ascoltare e continuare a lavorare, come stanno facendo.

  1. Ma quindi tornerai a giocare?

Se reggono i tendini, certamente. Anche domani.

La sfida è lanciata. Il capitano non molla.

OlimpiaStoria: la festa di Natale

Nel corso di una stagione sportiva, ci sono alcuni momenti che contano di più. C’è l’inizio degli allenamenti, la prima partita di campionato: momenti carichi di entusiasmo e aspettative, di concentrazione e tensione. C’è, all’opposto, la fine dell’anno, quando i gradi cominciano a salire e il gioco resta semplicemente divertimento.

Oltre a questi momenti, soglie tra una stagione e l’altra, restiamo affezionati alla festa di Natale. Concluse le ultime partite dell’anno, è forse questo l’unico vero momento di incontro di tutto il mondo biancorosso: un’occasione in cui trovarsi, grandi e piccoli, per giocare e condividere la passione per la pallacanestro.

È questa la tradizione che, più di tutte, ci lega alle nostre origini. Quando le feste di fine anno si svolgevano nella palestra del Classico, dove era difficile trovare posto. La formula è rimasta la stessa sin da allora: uno spazio per il minibasket, che si esibisce sotto l’occhio dei più grandi; l’urlo a centrocampo; l’apertura dei panettoni e dei pandori. In mezzo, il tentativo dei ragazzi di rubare i palloni e continuare a giocare: e se i palloni venivano ritirati per garantire la sicurezza, bastava una bottiglia, un tappo di plastica per riprendere a correre ancora più forte.

I meno giovani  ricorderanno, invece, quando la nostra casa era la palestra di Via Vignola: erano i tempi della lotteria di Natale, della torta offerta dalla pasticceria Ambrosiana. Quando la voce di Tonio Sciretti scandiva i numeri e tutti, ragazzi e genitori, riponevano le speranze sui propri numeri fortunati.

Anche se gli anni della pandemia hanno reso complicata una festa comune, la tradizione è stata portata avanti. E così, dopo le ultime fatiche di campionato, anche quest’anno la settimana di attesa del Natale ha consentito un po’ di respiro per festeggiare. Prima erano arrivate delle buone prestazioni da parte di tutte le squadre giovanili (under 13, under 15, under 17 silver e gold), culminate con l’importante vittoria del 2007, in rimonta, nel difficile campo di Nuoro.

Poi, il momento dei giusti festeggiamenti: per apprezzare il duro lavoro di questi mesi, che sta portando i suoi frutti indipendentemente dai risultati sportivi; per condividere insieme uno spirito comune; per ricordarsi di far parte di una grande famiglia.

La festa di quest’anno ha visto tutti i gruppi del minibasket giocare delle mini-partite, proprio come piace ai bambini. Al termine delle gare, lo spazio per il cibo e le bevande. C’erano i genitori, che non hanno fatto mancare la loro voce; c’erano i ragazzi delle giovanili, accorsi spontaneamente a mostrare ai più piccoli come si diventa squadra

L’urlo e la foto finale sono il ricordo che, ogni anno, ci portiamo dietro con più gioia. Perché sentirsi parte di una comunità significa rinunciare a qualche ora nelle frenetiche ore pre-natalizie; significa portare il sorriso in una palestra, giocare coi ragazzi di età diverse, dimenticare ogni pensiero e augurare il meglio agli altri compagni di viaggio. 

Presto arriveranno gli allenamenti più delicati della stagione, quando fa freddo e si riprende a ritmi blandi. Con il solito avviso di stare attenti, perché durante le feste ci si distrae, si esagera e la condizione psicofisica cala in fretta. Anche questo fa parte della routine delle vacanze.

Con l’epifania inaugureremo un mese denso di partite, in cui ogni gruppo dovrà lottare per guadagnare una classifica migliore. Però, concediamoci ancora qualche giorno di riposo, per ricaricare le pile e tornare ognuno nelle proprie case.

Ringraziando le famiglie per il loro impegno costante, gli sponsor per il loro prezioso sostegno, la pallacanestro Olimpia augura delle buone feste a tutti e tutte, con la speranza che il 2024 sia ricco di successi, sportivi e non.

Che il prossimo numero estratto alla lotteria sia proprio il nostro, come si faceva una volta.

1,2,3… Olimpia!

In ricordo di Andrea Chinnì, gigante col sorriso

«Lasciare il segno»: secondo il dizionario De Mauro, con queste parole si intende «restare impresso nella memoria». Succede per le esperienze che ci capitano, per le emozioni che sentiamo, per le persone che incontriamo. Nello sport, accade che, per restare nella memoria, non per forza si deve essere sotto i riflettori.

Ha lasciato il segno, nella memoria di chi lo ha incontrato, Andrea Chinnì: classe 1978, calabrese di Reggio, pivot di 206 cm che calcò i campi della pallacanestro sarda tra il 2004 e il 2008. Arrivato a Olbia, giocò a Sassari nell’anno in cui l’Olimpia vinceva il campionato di C regionale; nei tre anni successivi, vestì i colori biancorossi in C1, per poi disputare il campionato di Serie B con la Santa Croce.

Era il 26 novembre 2009, quando in tutti i campi della pallacanestro olbiese arrivò il tuono di una notizia tragica, inaspettata: in una normale giornata di lavoro, la vita di Andrea si spense, per ragioni inaspettate e imponderabili. Lasciò una moglie e una figlia. Lasciò una comunità a bocca aperta.

Perché morire a 31 anni è di per sé un'ingiustizia; lo è di più se si è lasciato il segno nella vita degli altri. Chi lo ha visto giocare, ricorda un giocatore di sicuro livello: molto alto, con le leve lunghe e una grande propensione alla stoppata; un catturatore di rimbalzi, con un buon gioco spalle a canestro. In molti ricorderanno la sua partenza in “virata”, oltre a qualche tiro in scarso equilibrio.

Chi lo ha conosciuto, non può dimenticare i suoi capelli, gli occhiali, la sua voce quasi sussurrata. Non dimentica il temperamento sereno, da bravo ragazzo, raramente fuori posto. Chi ha calcato il campo con lui, ne mette in rilievo la pacatezza, l’estrema correttezza nei confronti di avversari e compagni. Un vero esempio di sport.

I suoi compagni di squadra lo ricordano semplicemente come un amico, una persona che non faceva mai venir meno un sorriso, una pacca sulla spalla o un “cinque”. Essere tranquilli coi compagni, con gli avversari, con gli arbitri; farlo quando si è ragazzi di quasi trent’anni, dentro uno spogliatoio a metà degli anni Duemila: quante battute, goliardate, arrabbiature saranno passate in quelle trasferte inLombardia o nel Lazio, sia quando si giocava al Palazzetto Deiana che al campo di Padru. Lui, che in campo occupava più spazio di tutti, sapeva rispettare lo spazio altrui, senza mai invaderlo, come nessuno.

Andrea, nell’anno di esordio tra i campionati nazionali, aveva ereditato il ruolo di pivot e la maglia numero 7 che era stata di Gigi Cappuccio, protagonista assoluto della promozione del 2004. Era in campo nel momento forse più significativo di quegli anni: a Busto Arsizio, nella gara3 dell’ultimo turno dei playout, quando in rimonta si doveva decidere se restare tra i grandi o tornare nella dimensione di un campionato regionale. Mai erano arrivate vittorie in trasferta quell’anno: il livello del basket lombardo era forse eccessivo per una piccola realtà come l’Olimpia.

Eppure, tra una difesa a tutto campo e una gran dose di carattere, in pochi secondi svoltò la stagione e arrivò la tanto sudata salvezza.

Di quella appassionante serata esiste una fotografia, in cui il sorriso e il lungo braccio emergono, tra gli altri, a segnare lo spirito di una squadra, un’annata, uno splendido periodo della vita della nostra società.

Quando si è ragazzini di 10 o 13 anni, è facile trovare degli idoli dai quali prendere ispirazione. Spesso non servono i grandi giocatori visti in televisione: quando si vive di basket, è sufficiente seguire e appassionarsi alle giocate dei più grandi, quella prima squadra in cui un giorno si sogna di giocare. Generalmente, si guarda il chi fa più punti, chi è più spettacolare, magari chi ricopre lo stesso ruolo in cui si intravvede il proprio futuro.

Talvolta succede, però, che a colpire l’attenzione di un ragazzino sono altre cose: la bellezza di un rimbalzo preso con decisione; la difficoltà di una virata; il carattere di chi, pur senza conoscerti, ha scelto di mostrare una qualità rara. La gentilezza

Accade che, per puro caso, quella maglia numero 7 capiti tra le mani in una fresca serata di novembre: a ricordare chi, con rispetto ed educazione, ha scelto di lasciare il segno nella vita degli altri. Restando impresso nella memoria di chi c’era, nello spirito dell’Olimpia di ieri e di oggi.

Come ogni 26 novembre, il pensiero va alla famiglia di Andrea Chinnì, gigante col sorriso.

Foto © Gavino Sanna